Il complesso rapporto medico-paziente… una ricerca di empatia mirata

La scienza medica prevede che il medico si occupi non solo di dolore fisico, ma anche di quello invisibile della psiche, la quale richiede personalizzazione nel rapporto e sapiente misura nelle parole.  La medicina non è una scienza come la matematica, la fisica, la biologia, ma è comunque provvista di un suo specifico rigore, essendo una téchne, termine greco che indica un saper fare, unendo così tecnologia e arte. Si riscopre il significato di “terapia”, in greco “mettersi al servizio”, nel senso di mettersi all’ascolto, essere disponibile: il medico diventa così un “servitore”. In latino il termine corrispondente alla parola “terapia” è cura, ossia “sollecitazione, preoccupazione”, per indicare quella che dovrebbe essere la principale attitudine del medico, nonché il suo essere in pensiero e mosso da premura, concetto che nel tempo si è trasformato in somministrazione del farmaco.

Il compito della filosofia in ambito medico è proprio quello di porsi l’obiettivo di recuperare un rapporto di cura equilibrato, fondato su capacità relazionali e competenze tecniche. Molti studi indicano quale modello alla base della relazione medico-paziente quello adottato dalle cure palliative, che trovano nella medicina narrativa, fatta di parole e ascolto, di partecipazione e vicinanza solidale, uno stile di accompagnamento individualizzato idoneo a valorizzare l’unicità della persona e la sua storia. Si può quindi affermare che le parole contano e possono dare sostegno, incoraggiamento, conforto, rilassamento, diventando parte integrante della pratica medica.

“Nel rapporto di medico e paziente c’è un patto tacito che si basa sulla fiducia, ed è proprio la fiducia la condizione preliminare indispensabile per un incontro aperto e pienamente umano.Il medico si può rapportare con il paziente per mezzo di domande ‘chiuse’, che richiedono generalmente come risposta un sì o un no, oppure per mezzo di domande ‘aperte’ che incoraggiano il malato a parlare.Uno dei bisogni fondamentali dell’uomo è quello di parlare, e l’esperienza ci insegna che vuole parlare di sé. Ne consegue che se il medico vuole conoscere il suo paziente- per curarlo meglio- deve lasciarlo parlare di sé. E’ impegnativo ma non è una perdita di tempo, come spesso si è portati a pensare.Nel lavoro di medico, che dopo gli anni di studio ci mette di fronte a uomini e donne che si fideranno di noi, non possiamo portare solo la preparazione scientifica e la competenza professionale.Possiamo dire molte parole ma solo con l’intelligenza del cuore si può creare il dialogo.Ho sempre creduto nell’importanza dell’ascolto, e credo che la medicina “narrativa”, che si può integrare perfettamente con la medicina tecnologica e basata sull’evidenza, abbia un valore inestimabile.”

Umberto Veronesi-Parole che curano di Parizzi Fossati ( Publiediting 2016).


Da ciò derivano importanti spunti di riflessione applicabili in grande misura anche al tipo di approccio che quotidianamente il dentista ha con i suoi pazienti. Nella pratica odontoiatrica le problematiche da risolvere normalmente non riguardano patologie gravi, anche se talvolta pazienti oncologici o affetti da malattie invalidanti sono bisognosi di cure dentistiche e pertanto sono pazienti comunque bisognosi di ascolto e supporto per alleviare le loro sofferenze. Molto spesso il paziente odontoiatrico si presenta preoccupato, spaventato, alterato da un punto di vista emotivo ed è molto abile a trasmettere le proprie tensioni. Credo sia importante che anche un’odontoiatra debba avere nel proprio metodo comunicativo le stesse competenze di qualsiasi specialista in medicina- sia esso medico di base, pediatra, oncologo, psichiatra, … – poiché l’abilità del medico sta proprio nel focalizzare la tipologia del paziente che ha davanti a sé adottando tecniche relazionali con caratteristiche individuali per ciascuno di loro a seconda dello schema comportamentale che ogni caso richiede.

Dr.ssa Giovanna Rosanelli

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